Il Naufragio dell'Angelika


La notte tra il 6 ed il 7 febbraio 1906, si compiva la tragedia dell' Agelika, il veliero greco che, proveniente da Marsiglia e di ritorno in patria, naufragava nelle acque di Seccagrande al Corvo.
Otto marinai scomparivano tra i flutti e l' isoletta di Inousses si vestiva di nero, ma non poteva piangere sui loro corpi.
Poi il tempo ha steso un drappo sulla vicenda. Ma dopo novant' anni esatti, Angelika  torna a far parlare di se,  non con toni drammatici, ma come motivo d' incontro fra due comunità, quella greca di Inousses e quella italiana di Ribera, che si conosceranno e si confronteranno in una serie di manifestazioni di gemellaggio previste per il prossimo aprile, culminati nella scopertura di un monumento in memoria dei marinai greci e realizzato con le due stupende ancore del veliero recuperate dai sommozzatori del club Seccagrande.
Rievocare la storia dell' Angelika, non è stato inutile.



Il ritrovamento dell'Angelika
testo e foto di Domenico Macaluso
articolo pubblicato sul n° 52 (luglio-agosto 1995) di Archeologia Viva



Della presenza di due grandi ancore presso lo scoglio "la Pietra del Signore", ne erano a conoscenza tutti gli anziani appassionati di mare di Ribera presso Agrigento. Ma laddove Tommaso Crispi, padre dello statista riberese Francesco, nel 1842 avrebbe voluto un porto già progettato e mai realizzato, quelle ancore erano una presenza inquietante: perché fossero lì non se lo era mai chiesto nessuno.
Già nel 1974, ragazzino, invece me lo ero chiesto io, incuriosito oltre che dalle stupende ancore, da molti pezzi di materiale edilizio sparsi sul fondale: mattoni, tegole marsigliesi ed una cinquantina di grossi blocchi di pietra da un metro cubo disposti ordinatamente, quasi ancora stivati (nella foto una delle prime immagini subacquee del relitto: estate 1978).


Le ricerche vere e proprie iniziai a farle nel 1992 sia in loco che in archivio.
Dopo una violenta mareggiata era infatti venuto fuori parte di fasciame attaccato da teredini e coperto da un rivestimento di rame con chiodatura sempre in rame e grossi chiodi di ottone. Era evidente che si trattava di un vascello ed a giudicare dalle dimensioni delle ancore, doveva essere stato grande.

(grazie a riprese dal paracadute, vengono identificati i particolari del relitto)

Avevo intanto ascoltato la testimonianza di un vecchio conoscitore della nostra costa che mi raccontò che suo padre da piccolo, aveva visto in quella zona infrangersi, sul basso fondale, un bastimento.
Feci un calcolo approssimativo dell'epoca in cui quel ragazzo aveva assistito al naufragio e la datazione cadeva tra il 1900 ed il 1910. Con lo storico Raimondo Lentini facemmo una semplice supposizione: se c'era stato naufragio, probabilmente vi erano stati dei morti e potevamo cercarne gli atti nella seconda parte dell'apposito registro presso lo Stato Civile del Comune di Ribera, a cui appartiene territorialmente la spiaggia di Seccagrande. Esaminammo i documenti che andavano dal 1900 in poi ed in quello del 1906 vi erano gli atti di morte di tre marinai greci, parte dell'equipaggio del veliero "Angelika" naufragato presso Seccagrande la notte tra il 6-7 febbraio: Bingo!
Nella elegante calligrafia a pennino di quel registro si aggiungeva che la nave era iscritta al Compartimento Marittimo di Itrio.  nell'estate del 1993, mi recai addirittura ad Idra (Itrio?), un'isoletta greca,  ma lì nessuna traccia, nessuna notizia di quell'evento: Itrio non era la nostra isola.
Qualcosa non andava, riesaminai gli atti di morte. L'elegante calligrafia a pennino del 1906 ci aveva tratto in inganno poiché leggendo con attenzione la parola Itrio era in realtà Schio! Presi delle carte nautiche della Grecia ed escludendo altre isole era probabile che si trattasse di Chios o come riportato in altre carte Schio.
Con l'ausilio di un ragazzo greco che ci ha fatto da interprete parlammo con il responsabile della Capitaneria di Porto di quell'isola che ci disse che la vicenda dell'Angelika non era per lui nuova e che il cognome dei marinai, Lèmos, indicava che l'equipaggio proveniva dalla vicina isola di Inousses. Ci forniva il numero di telefono del Sindaco che chiamavamo subito.
Questi, Dimitrios Calkias rimase sbalordito dalla notizia poiché sin da piccolo aveva sentito raccontare della tragedia del veliero. Dopo qualche giorno inviò al Distretto Scolastico di Ribera, con il quale conducevamo le ricerche, un fax, dove ci diceva che alla notizia del ritrovamento dell'Angelika, aveva convocato un Consiglio Comunale straordinario per fare partecipe della notizia tutta la cittadinanza. Aggiungeva che il naufragio " aveva fatto vestire di nero tutta l'isola", in quanto i morti erano stati dieci, di cui otto, tutti della stessa famiglia Lèmos, fratelli e cugini.
Gli atti di morte erano tre, poiché i corpi di altri cinque marinai non furono mai ritrovati. Nel corso di uno scavo subacqueo effettuato sul relitto rimanemmo emozionati nel ritrovare un frammento di tibia umana, quasi certamente appartenuta ad uno di essi.
Iniziammo un intenso scambio di corrispondenza: noi inviavamo delle pubblicazioni su Ribera ed i greci monografie sull'Isola. Ma la cosa più bella ricevuta, che mi commosse, poiché coronava anni di ricerche era il poster di un quadro ad olio conservato nel loro Museo Navale, che rappresentava una flotta di velieri fra le quali c'era raffigurata l'Angelika (AGGELIKH). Nel quadro la nave batte bandiera turca e greca poiché fino al 1912 Chios era occupata dai turchi.
(l'Angelika è la prima a sn.)

La nave era stata costruita in un cantiere rumeno sul Danubio.
Iniziai a pensare ad una serie di iniziative utili a riportare alla memoria quel naufragio: recupero delle ancore e realizzazione di un monumento ai caduti del mare; gemellaggio culturale fra Distretti Scolastici ed Amministrazioni Comunali.
Con i soci del Seccagrande Sub Club, associazione sportiva che presiedo, valutammo la possibilità tecnica del recupero delle ancore e approntammo un piano.
Trovati gli sponsor iniziammo l'operazione; il progetto consisteva nel liberare le ancore dalle enormi catene che ancora le vincolavano ed escluso l'uso di palloni di sollevamento, dato il basso fondale, le avremmo imbracate e tirate dalla riva mediante una gru a lungo braccio.



Dopo le necessarie autorizzazioni fummo operativi il primo ottobre '94, data in cui recuperammo con azione spettacolare la prima maestosa ancora del peso di 1800 Kg! Il tentativo di recupero della seconda fu vano: nonostante liberata dalla catena qualcosa teneva impigliata la seconda marra dell'ancora che apparentemente era conficcata nel fondo ghiaioso. Con immersioni protratte fino al 18 dicembre effettuammo uno scavo attorno al secondo braccio; il materiale durissimo attorno all'ancora era composto da ghiaia, mattoni e tegole frammentati e fusi col ferro da processi chimici e correnti galvaniche. Ma la sorpresa fu scoprire che la branca era incastrata con un ancorotto di tonneggio che non avevamo mai visto poiché seppellito sotto questi materiali.



Affinammo le tecniche di scavo con l'uso di una sorbona e di un martello pneumatico che liberava via via la terza ancora completa di ceppo in ferro. Il termine ancorotto è comunque riduttivo per un'ancora di due metri e di 1000 Kg di peso. Inoltre man mano si procedeva nello scavo, venivano fuori grossi supporti di ferro, parti della gru dell'ancora, catene di tutte le dimensioni e persino un ancorotto a grappo.


Ma la nostra tenacia ebbe il sopravvento sul relitto che teneva vincolate queste strutture: dopo 98 ore di lavoro subacqueo manuale, tutto effettuato nella stagione invernale, riuscimmo nell'impresa.


Le TV locali e la stampa davano molto spazio alla vicenda e ciò comportò il fatto eccezionale di trovare un testimone ancora in vita del naufragio. Antonino Tamburello, classe 1898, con una lucidità incredibile, ricordava perfettamente la mattina del 7 febbraio, giorno del suo compleanno, quando col padre raggiunse la spiaggia a dorso di mulo: la grande nave flagellata dalle onde si disintegrava sulla scogliera ed il mare buttava fuori pezzi dello scafo e mattoni.
Il piccolo Antonio Tamburello, da quella mattina si recò per mesi col padre a raccogliere mattoni dell'Angelika che vendevano a £. 3 per cento pezzi.
Regalai a Tamburello uno dei mattoni recuperati: il vecchietto con le lacrime agli occhi per la commozione, mi garantì che si sarebbe fatto seppellire con quel ricordo della sua infanzia (nella foto, Antonino Tamburello).


Di questi mattoni ne abbiamo recuperato alcune centinaia dal fondo del mare: si sarebbero utilizzati come base per il monumento.  Il Distretto Scolastico di Ribera ha bandito un concorso di idee riservato alle scuole medie superiori per la realizzazione del monumento. Dal disegno più bello, esaminato da una giuria composta da scultori e tecnici della Soprintendenza, si sarebbe realizzato il monumento.

L'inaugurazione del monumento
Il sogno di realizzare un monumento per ricordare i marinai periti nel naufragio dell'Angelika, si è concretizzato il 22 aprile del 1996, dopo meno di un anno, dalla pubblicazione dell'articolo. Volere è potere!


All'inaugurazione del monumento, avvenuto con tutti gli onori riservati ai grandi marinai (picchetto d'onore, deposizione di una corona d'alloro sulle acque che accolgono il relitto, al fischio della sirena della nave Squalo, della Marina Militare), ha presenziato una fitta delegazione di Inousses, sindaco in testa. La cerimonia è stata anche l'occasione di incontro e la nascita di una vera amicizia, tra la comunità di Ribera e quella dell'isola greca: soltanto due mesi dopo, un gruppo di cittadini e studenti riberesi, avrebbe ricambiato la visita ad Inousses.
In quell'occasione, l'emozionante incontro con Stella Kolaki, nipote di Nicola Lemòs uno dei marinai dell'Angelika, che sommessamente mi raccontò che la tragedia del veliero, ebbe un seguito ancora più tragico: dopo il naufragio, le tre cognate vedove, morirono di stento nel giro di qualche anno. In quel periodo, le navi non erano assicurate.


il 29 novembre 2001, il nuovo sindaco della deliziosa isola dell'Egeo, Evangelos Angelakos, si è recato a Ribera, per visitare la tomba dei tre marinai restituiti dal mare e per rendere onori al monumento di Seccagrande.
Un gemellaggio vivo più che mai.

La vicenda del naufragio e del ritrovamento dell'Angelika, è una storia di mare bella e terribile al tempo stesso, come ogni storia di mare.