Archeologia Subacquea e Diritto Internazionale

Attenti a quel sottomarino
Giustamente non accenna a placarsi l'eco della scandalosa vicenda del sommergibile americano che nel Canale di Sicila ha prelevato antichi reperti. Quanto è accaduto è offensivo dell'archeologia e della dignità degli stati mediterranei.
di Domenico Macaluso
articolo pubblicato sul numero 67 (gen.-feb. 1998) della rivista Archeologia Viva


La scorsa estate è accaduto un episodio che, per arroganza, superficialità e impudenza ha sconvolto molti di noi. Il 19 luglio il Tg1 annunciava che su Linea Blu sarebbero state mostrate, in esclusiva, immagini subacquee del Canale di Sicilia riprese da un sommergibile nucleare americano: protagonista Robert Ballard, il noto geologo americano, famoso per aver ritrovato la corazzata tedesca Bismark e il transatlantico Titanic. Le immagini "spettacolari" in realtà erano scioccanti: il pur sofisticato, ma sempre meccanico, braccio di un robot, stravolgendo ogni riferimento stratigrafico e contro ogni più elementare regola di scavo archeologico, prelevava anfore dal sito di un antico naufragio, per deporle in un cesto metallico dove giacevano altri reperti raccolti in precedenza.
IL SEMPLICE RECUPERO NON FA ARCHEOLOGIA. Un relitto non è soltanto un "dispenser" di anfore. Analizzando correttamente i resti di un'antica imbarcazione, si possono ottenere reperti e informazioni ancor più interessanti, come notizie sulla vita di bordo, sull'architettura navale e sulla tecnica di costruzione, sulla natura e destinazione delle merci trasportate, sulle tecniche e gli strumenti di navigazione e sull'eventuale armamento di bordo. Per ottenere questo bisogna ricorrere a procedure razionali, che prevedono il rilevamento del sito sommerso, la registrazione fotografica, l'eventuale elaborazione digitale e quindi, solo se necessario, visto che l'orientamento della moderna archeologia marina è di tipo conservativo, lo scavo.
L'archeologo che si accinge a tali operazioni ha un'enorme responsabilità, poiché lo scavo è una procedura traumatica e irreversibile. Tutto ciò può essere una novità per un profano, ma non può essere ignorato da uno scienziato quando si trova davanti un antico relitto: addirittura insieme a Ballard c'era uno staff di archeologi, diretti da Anna Marguerite Mac Cann, compreso l'archeologo inglese jonathan Adams, immortalato in una foto pubblicata da "The Times", mentre accanto a Ballard osserva attraverso i monitors l'abilità con cui il robot Jason (un veicolo teleguidato del tipo "rov") prende reperti dai relitti. Ecco perché è gravissimo quello che è successo nel Canale di Sicilia. Forse il tertnine "saccheggio" può risultare eccessivo, ma non trovo una definizione meno forte per lo scempio perpetrato ai danni non di uno, ma di circa otto relitti, mediante il braccio articolato del Jason, che annaspava tra delicatissimi sedimenti per recuperare morbosamente oltre cento reperti. Ma di chi erano quei reperti? Di chiunque avesse la capacità strumentale di accedervi?
IN BARBA ALLE CONVENZIONI INTERNAZIONALI - Nel corso della terza conferenza delle Nazioni unite sulla nuova regolamentazione del Diritto del mare, durante la quale nel 1982 veniva ratificata la cosiddetta Convenzione di Montego Bay, furono stabilite nuove regole. Il limite delle acque territoriali è stato fissato a 12 miglia dalla costa, ma a 24 miglia viene fissato un altro importante limite, quello della Zona contigua marittima, a cui la Convenzione estende il potere territoriale costiero di uno Stato per quanto riguarda il suo patrimonio culturale. La rimozione senza autorizzazione di reperti archeologici in quest'area costituisce una violazione del territorio dello Stato (art. 33). Tale Zona contigua marittima deve essere dichiarata unilateralmente dallo Stato interessato; purtroppo l'Italia, nonostante il grande patrimonio subacqueo da tutelare, non l'ha ancora fatto.
Accanto alle tradizionali Acque interne e territoriali, sottoposte al controllo e al potere dello Stato costiero, e al Mare libero, è stata definita una Area internazionale che inizia a duecento miglia dalla costa (art. 49). Nel pianificare una ricerca, anche sulla piattaforma continentale, bisogna avere il consenso dello Stato costiero, che non lo negherà, se la richiesta proviene da un organismo scientifico qualificato. Non bisogna infine trascurare che il Mediterraneo è considerato dalla Convenzione un "mare chiuso o semichiuso" (art. 122) cioè circondato da molti Stati costieri. Secondo l'art. 123, gli Stati che vi si affacciano dovrebbero coordinare le loro politiche di ricerca scientifica, mentre quelli estemi devono fare richiesta di ricerca motivata e precisa a uno stato costiero, che può partecipare alla spedizione con propri scienziati. Bastava dunque che gli organizzatori della spedizione Ballard avessero chiesto l'autorizzazione all'Italia o alla Tunisia e tutto sarebbe stato "regolare", almeno dal punto giuridico.
(nella foto il libro di G.Allotta e D.Macaluso Archeologia Marina e Diritto del Mare).



BALLARD DOVREBBE RESTITUIRE I REPERTI. Il fatto grave è che la missione, da quel che hanno mostrato le immagini televisive, non era di semplice mappatura dei siti, ma di prelievo di reperti e l'art. 253 defia Convenzione di Montego Bay recita che lo Stato costiero può chiedere la sospensione della ricerca, se il richiedente non adempie a quanto specificato nella richiesta. Non è dunque una giustificazione asserire che il tutto si sia svolto in acque intemazionali, poiché gli oggetti sommersi in quest'area, devono essere considerati patrimonio dell'umanità e sono sottoposti al controllo di un'Autorità intemazionale, che ha il compito di tutelarli. Per conto di quale autorità intemazionale Robert Ballard prelevava materiale archeologico? L'art. 149 della Convenzione recita: "Tutti gli oggetti di carattere archeologico o storico trovati entro le 200 miglia sono conservati o ceduti nell'interesse dell'umanità intera, tenuto conto in particolare dei diritti preferenziali dello Stato o del Paese d'origine, o dello Stato d'origine culturale, o ancora deflo Stato d'origine storica o archeologico".
Chi può bloccare questi atti di imperialismo archeologico? Probabilmente solo le Nazioni unite, che dovrebbero vigilare sul rispetto della Convenzione, ma soprattutto gli stati costieri del Mediterraneo, che dovrebbero attenersi al già citato articolo 123, coordinando le loro politiche di ricerca scientifica. La stampa americana, compiaciuta per una missione che arricchiva di reperti archeologici gli Usa, poveri sotto questo aspetto, ha osannato Robert Ballard, definendolo novello Indiana jones, l'eroe hollywoodiano che impersona un archeologo rampante a caccia di tesori.
Per favore, fermiamolo!