Ferdinandea: nel cuore del vulcano
Nel pianificare le attività del Club Seccagrande e del Nucleo Operativo Subacqueo della Lega Navale Italiana, per il 1999, consapevole del rischio sismico in un punto del Canale di Sicilia molto vicino alla costa, dove più volte è sorto un vulcano, ho pensato di effettuare uno studio di quei fondali.
Questo punto caldo del Mediterraneo, indicato nelle carte nautiche come Banco di Graham, è un basso fondale, insidioso per le grandi imbarcazioni. In quel punto, da una vasta spianata di -190 metri, si erge un massiccio roccioso dalla forma di un cono molto irregolare, che a gradoni via via più alti, raggiunge quasi la superficie del mare: è ciò che rimane di vecchie e recenti eruzioni (sotto, lo schema dell'edificio vulcanico, tratto da l'Espresso n° 18, maggio 2000).
A questo livello, la crosta terrestre molto sottile ed instabile, è soggetta ad un fenomeno geologico particolare: due placche continentali che in quel punto confinano (la placca africana e quella eurasiatica), tendono ad allontanarsi una dall'altra, in un processo chiamato rifting continentale. Quando avviene questo movimento, la crosta terrestre si frattura causando un terremoto, mentre la conseguente fuoriuscita di lava, porta alla formazione di un vulcano. In qualche caso, si possono formare anche delle onde di maremoto che raggiungono la costa. Se la fuoriuscita di magma è consistente, si arriva alla formazione di isole permanenti, come in passato è avvenuto per Pantelleria e per Linosa; nel 1831, l'eruzione, preceduta da violenti terremoti avvertiti nella costa sud-occidentale della Sicilia, portò alla formazione di un vulcano sottomarino, ma quando la lava aveva quasi raggiunto la superficie, l'eruzione si estinse ed in superficie rimase un isolotto composto soltanto da sabbie pomicee di scarsa consistenza: dopo soli cinque mesi dalla nascita, la piccola isola si disgregò sotto l'azione dei marosi.
Nel 1995 il processo si è ripetuto, anche questa volta accompagnato da un terremoto avvertito soprattutto dalla popolazione di Sciacca, mentre i pescatori della stessa cittadina, notavano in corrispondenza del Banco, il mare in fermento e la risalita in superficie di alghe cotte. Il nuovo vulcano, in questo caso estinse la sua ascesa quando aveva raggiunto i -78 metri dalla superficie.
Dunque una zona ad alto rischio, con possibili gravi ripercussioni sul territorio: la distanza del banco di Graham dalle coste siciliane è di appena 22 miglia!
Da qui l'idea di una ricerca in loco, per ottenere dati aggiornati e per effettuare un rilevamento della situazione morfologica dei fondali. Il coordinamento scientifico è stato affidato all'Ordine Regionale dei Geologi di Sicilia, guidati dal presidente Emanuele Siragusa; lo studio dei campioni di roccia prelevati, sarebbe stato curato dal dr. Silvio Rotolo, del dipartimento di Geochimica dell'Università di Palermo. Il supporto logistico, sarebbe stato fornito dalla Guardia di Finanza e dalla Guardia Costiera, che avrebbero messo in campo, ben tre unità navali.
Un'immersione impegnativa
Luglio '99. A bordo del guardacoste Macchi della Guardia di Finanza, il tenete Biagio Looz, sta pilotando personalmente la veloce unità navale, assistito dalla sofisticata strumentazione di bordo; nella sala riunioni, mentre i geologi sono impegnati in una conferenza stampa, i sommozzatori della Lega Navale e quelli del Club Seccagrande (sommozzatori sportivi di Ribera, protagonisti di altre spettacolari imprese e di rilevanti scoperte archeologiche), stanno definendo gli ultimi particolari di quella che sarà la prima di tre missioni sui resti del vulcano
(nella foto, i soci del Club Seccagrande a bordo del Macchi).
Su alcune tabelle in plexiglas che poteranno sott'acqua, hanno tracciato il profilo dei fondali, grazie ad un plastico realizzato da Francesco Siragusa, laureando in geologia. Sulle tabelle, sono anche riportati i punti dove effettuare i prelievi di campioni di roccia. In un angolo, un documentarista controlla la sua telecamera e prova gli illumina tori. Sotto la guida dei GPS, dopo appena un'ora si raggiunge la zona e grazie a tre diversi tipi di ecoscandagli, si reperta il picco degli otto metri, una prominenza grande poco più di venti metri quadrati, che rappresenta ciò che rimane dell'antico condotto lavico. Dato fondo all'ancora, si posiziona una grossa cima-guida, collegata in superficie con un galleggiante rigido che funge da base d'appoggio. Si posiziona un'altra cima contigua alla prima, su cui vengono posizionati a varie profondità, diversi gruppi ARA completi (monobombola da 18 l, GAV, manometro e due erogatori), mentre numerose bombole di scorta, sono a bordo delle navi. Il rischio maggiore, è la sempre incombente malattia da decompressione, pericolosa come mai, in una zona così lontana da strutture dotate di camera iperbarica: in un luogo così bello ed ammiccante, è assolutamente vietato uscire fuori curva di sicurezza, per cui è categorica, la dotazione di un computer per ogni operatore.
Per dare continuità alle operazioni di prelievo, si avvicenderanno tre gruppi di sommozzatori. Le condizioni meteo, purtroppo non rispettano le previsioni. Il mare che sarebbe dovuto rimanere calmo, durante la navigazione aveva raggiunto forza quattro e durante le operazioni di posizionamento delle attrezzature, arriva a forza cinque; il tender che trasporta i sub dalle navi alla boa, è al limite dell'operatività. L'impatto con l'acqua, è violento, ma il primo gruppo è già pronto per un'immersione che si preannuncia difficile. Sotto la guida della cima, prezioso appiglio che consente di contrastare la violenza del moto ondoso, inizia la discesa: e qui la prima sorpresa.
Nonostante la superficie del mare risulti ormai sconvolta dalle onde, le acque sono di una limpidezza incredibile, che consente di vedere nitidamente la base del condotto lavico, che verificheremo in seguito, trovarsi a -24 m; ma la sorpresa più gradevole, sarà il constatare che la violenta corrente di superficie, si azzera dopo appena quattro metri di discesa!
Quasi surrealmente, ci si trova immersi in un altro mondo, bello ed inquietante, pullulante di vita. I materiali eruttati nel 1831 e recentemente (cinque anni fa), ricchissimi di minerali, sono stati un eccezionale supporto per la crescita di numerose specie di alghe, che hanno trovato nutrimento e sostegno. Lo stesso vale per i pesci, che in un punto del Mediterraneo caratterizzato da acque molto profonde, hanno qui la possibilità di trovare rifugio e sostentamento. Infatti castagnole ed avannotti di diverse specie, sono così numerosi, da ridurre a tratti la visibilità; cernie di varie dimensioni, si fanno riprendere dalla telecamera, per nulla intimorite dalla nostra intrusione. Banchi di pesce di varie specie, un po' più lontani, sembrano realizzare astratte strutture architettoniche, che dopo un po' si dissolvono. Mario Corbellini, il conduttore di Linea Blu, che ci ha accompagnato durante la seconda missione, dichiara che nonostante si sia immerso in quasi tutti mari, non ha mai trovato tanta ricchezza di vita. Oltre il riscontro di piccoli pesci dalle livree tropicali, nascosti nella penombra degli anfratti del basalto colonnare (lava raffreddatasi repentinamente), ancora una sorpresa: corallo giovanissimo dai fragili rami, in lenta crescita.
Ma il tempo passa con una velocità incredibile e bisogna procedere in fretta. Mentre Barbara ed Alessandro, con una rullina da 20 metri rilevano il condotto, altri sub con l'ausilio di un martello pneumatico, staccano frammenti di basalto durissimo, dai punti prestabiliti, avendo cura di effettuare il prelievo, su zone sprovviste di vegetazione, per intaccare il meno possibile, questo giovane paradiso biologico. Un terzo gruppo, è sceso su una spianata a -24 m, dove in una conca si sono raccolte quelle sabbie nere (piroclastiti), che componevano la parte emersa dell'isola e che il mare aveva disgregato.
Ogni frammento prelevato, viene racchiuso in un sacchetto di cellophane, su cui vengono annotati con un marker, quota e zona.
Conclusa l'operazione, dopo aver effettuato alcune tappe di decompressione di sicurezza, si ritorna in superficie ad affrontare nuovamente onde ancora più alte e violente, che rendono difficilissime le operazioni di recupero delle attrezzature, ma anche degli stessi sommozzatori. I geologi ed i vulcanologi che ci attendono a bordo, ci accolgono come se fossimo tornati da un altro pianeta, osservando quasi con avidità i reperti di roccia recuperati, su cui effettueranno una serie di studi, che consentirà soprattutto di sapere se il fenomeno vulcanico è ancora in evoluzione, se è in quiescenza oppure se si trova in una fase evolutiva.
Mentre le imbarcazioni si allontanano e ci liberiamo delle mute assaporando in coperta la calda brezza che ci asciuga rapidamente, volgiamo uno sguardo quasi nostalgico, a quello scoglio che ancora s'intravede in trasparenza. Ma una confessione bisogna renderla: chi di noi durante le immersioni, per un attimo non ha pensato speriamo che non si risvegli adesso!
Le micro conchiglie
Un'interessante osservazione, viene fatta quando a terra si esamina la sabbia nera piroclastica: quelli che sembrano granelli di sabbia chiara, mescolati alla quella scura, sono in realtà delle piccolissime conchiglie e di ben 18 varietà diverse. In certi casi, soltanto l'osservazione con una lente d'ingrandimento, consente di apprezzare i particolari strutturali delle conchiglie. Alcune conchiglie sono state classificate, mentre per altre l'impresa appare davvero impegnativa
( foto a sn: conchiglia di 2mm. A destra, una trivia europea di 7 mm).
Al fenomeno Ferdinandea, sembra legata anche la formazione del corallo fossile di Sciacca, molto prezioso e ricercato, in quanto i banchi trovati dai pescatori saccensi alla fine del 1800, dopo essere stati sfruttati in modo intensivo, si sono esauriti intorno agli anni '20. La singolarità di questo corallo è dato dalla colorazione salmone. La morte e la stratificazione in banchi, potrebbe essere dovuta a violenti scosse sismiche, che avrebbero fatto spezzare e morire il corallo, poi convogliato nei banchi, dalle forti correnti del Canale di Sicilia (nella foto, un agglomerato di corallo fossile di Sciacca).