Ferdinandea alla Biennale del Mare |
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Nascita dell'isola Ferdinandea nel 1831: problemi di Diritto Internazionale tuttora irrisolti.
Relatore dr. Domenico Macaluso
Ispettore Onorario ai BB.CC. della Regione Sicilia.
Signor Presidente,
il mio intervento per parlare della comparsa di un vulcano sottomarino, l'isola Ferdinandea, evento geologico che lo scorso secolo ha avuto come teatro il Canale di Sicilia, nasce dalla rinnovata attenzione verso tale fenomeno, che oltre a suscitare un forte interesse dal punto di vista scientifico, ha riproposto delle questioni di Diritto, Internazionale, apparentemente scomparse assieme all'Isola nello stesso 1831, ma in realtà pronte a riemergere, nel momento stesso in cui ne viene paventata la riemersione.
Ecco i fatti. Nel giugno di quell'anno, una serie di scosse telluriche gettarono lo scompiglio nella cittadina di Sciacca: erano i segni prodromici di un evento geologico straordinario, la nascita nel bel mezzo del mare, di un vulcano, che si sarebbe manifestato in tutta la sua inquietante magnificenza, nei primi giorni di luglio. La Sicilia fremeva per l'imminente arrivo a Palermo, di re Ferdinando II di Borbone, in occasione dei festeggiamenti in onore di S. Rosalia. Anche il mare in quei giorni fremeva: sotto l'atterrito cospetto dei pescatori che battevano il tratto di mare antistante la costa sud-occidentale della Sicilia, le acque ribollivano. Dalle profondità marine, risalivano in superficie, pomici e chiazze oleose, mentre l'aria odorava di zolfo; il 5 luglio, al rimescolio delle acque, si aggiunse la fuoriuscita del fumo: i tempi erano maturi per il parto della nuova terra, evento che si manifestò infatti il 17, con l'emissione di lava infuocata, cenere e lapilli. Il tutto con il coreografico sollevarsi di alte colonne d'acqua, in uno spettacolare quanto terrificante evento, ben visibile da Sciacca. L'11 luglio era già arrivato a Palermo re Ferdinando, che alla notizia della nascita del vulcano, inviò sul luogo, la real corvetta bombardiera Etna, nome quanto mai appropriato, per studiare il fenomeno. Al comando, il capitano di fregata don Raffaele Cacace. La nave, varata il 18 settembre dell'anno precedente nei canteri di Castellammare di Stabia, era moderna ed armata di 14 cannoni. Notata l'attenzione borbonica verso la nuova terra, anche gli inglesi cominciarono ad interessarsi più concretamente al vulcano e non certo per fini scientifici: da Malta, quale risposta alla missione dell'Etna, venne inviato sul luogo, il cutter Hind, al comando del tenente Coleman. Paradossalmente, quel tratto di mare andava divenendo sempre più incandescente, man mano il vulcano si andava raffreddando. Per una vera missione scientifica, venne incaricato un famoso geologo di Berlino, Federico Hoffmann, che partito da Sciacca col battello Gesù, Giuseppe e Maria, effettuerà i primi rilevamenti a distanza dell'Isola, in quanto in piena attività eruttiva. Anche l'Università di Catania, si interessa al fenomeno ed intende studiarlo, affidandosi alla competenza di un valente scienziato, Carlo Gemmellaro: questi partirà da Sciacca il 10 agosto. Misurerà il vulcano: da ponente a levante, 200 metri, una circonferenza di mezzo miglio ed un'altezza di 27 metri. Ma appena possibile bisogna prenderne possesso e per far questo vi si deve piantare un vessillo. Il 7 agosto un viaggiatore inglese tenta di sbarcare: ha anche portato da Sciacca, da dove è partito, una bandiera, ma a causa delle eruzioni, fallisce la missione. Addirittura prima, il 2 agosto, un altro inglese, il cap. Mumphrey Le Fleming Senhouse, aveva dichiarato di essere sbarcato sull'Isola e di averne preso possesso in nome della Gran Bretagna, chiamandola isola di Graham, nome del banco marino su cui riteneva poggiasse il vulcano (il banco a sua volta era stato così chiamato, da sir James Robert George Graham, politico inglese); lo sbarco è in realtà poco verosimile, date le condizioni ambientali proibitive di un vulcano in piena attività. Ha invece successo, la deputazione sanitaria di Sciacca, che invia sull'Isola il 13 luglio, una barca peschereccia, comandata da Michele Fiorini. Questi provvede a prenderne il possesso, conficcando sulla sabbia nerissima del vulcano, un remo alla cui estremità era legata una bandiera: il tutto sancito da un verbale redatto al ritorno, nella cancelleria di Sciacca. Il 20 agosto, vi sbarca il chirurgo inglese Osborne ed altri ufficiali inglesi venuti da Malta; gli sbarchi continuano per tutto agosto. La questione dell'appartenenza della nuova terra è sempre più pressante. Gemmellaro, dato che l'isola si manifestò in concomitanza dell'arrivo del re a Palermo, volle chiamarla Isola di Ferdinando II. Il re soddisfatto, provvederà con un atto sovrano del 17 agosto 1831, a chiamarla Ferdinandea e ad annetterla formalmente al Regno delle Due Sicilie (stampa realizzata da Benedetto Marzolla nel 1831).
Anche i francesi avevano tentato di darle un nome: Constant Prevost e Edmond Joinville, durante una visita per una missione geologica il 28 settembre, l'avevano chiamata Giulia (nome armonioso, molto italiano, dettato dal fatto che l'isola era nata a luglio). Essi vi piantarono il tricolore francese ed anche un cartello con data e nome dei visitatori. Il geologo inglese Charles Lyell, la chiamò Sciacca, ma la Royal Society di Londra e la Società di Geologia, la chiameranno definitivamente Graham, nome che nelle moderne carte nautiche, indica l'attuale basso fondale, ciò che rimane dell'isola. L'intenso circolare in quella zona ed in quel periodo di navi da guerra inglesi, sotto il comando del v. ammiraglio Hotham, che fa pattugliare la zona allo sloop Ferret, tradisce mire di possesso ormai palesi, per cui il governo siciliano, è costretto a sua volta ad inviare un'unità, al comando del capitano di fregata Valguarnera. Ma il mare sta già provvedendo a placare gli animi dei contendenti, volendo usare un eufemismo molto appropriato, gettando acqua sul fuoco. L'elegante pacchetto a vapore Francesco-I, viene fatto salpare da Napoli per un'ultima ricognizione, ed il 27 ottobre raggiunge un'isola che si presenta molto ridotta in ampiezza: i materiali che la costituiscono, in prevalenza sabbie pomicee, sono facile preda dei marosi e quella poco consistente terra, comincia a sfaldarsi. Non c'è più il fenomeno eruttivo a sostenerla, anzi le lave dure e resistenti, non hanno avuto neppure il tempo di raggiungere la superficie. Il 16 novembre Ferdinandea appare smembrata come un piccolo arcipelago, ma ancora qualcuno, in 2O novembre, riesce a sbarcarvi: è Walter Scott, uno scrittore scozzese. Due scosse di terremoto, una il 15 ed una il 16 dicembre, decretano la fine dell'isola.
Dopo cento settant'anni, quel tratto di mare torna a brulicare di unità navali, mentre dalle sue acque, emergono rigogliose bolle d'aria: è l'aria liberata dalle bombole dei sommozzatori della Lega Navale di Agrigento e del Club Seccagrande di Ribera, mentre le navi sono quelle della Guardia di Finanza e della Capitaneria di Porto: si sta effettuando una missione scientifica sui resti sommersi del vulcano, sotto il coordinamento scientifico dell'Ordine Regionale dei Geologi. In quel tratto di Canale di Sicilia, distante poco più di 20 miglia dalle nostre coste, due placche continentali sono interessate da un movimento che tende ad allontanarle e quando questo avviene, si originano delle scosse telluriche mentre la crosta terrestre, in questo punto molto sottile, si frattura e lascia fuoriuscire del magma; se l'eruzione sottomarina dura a lungo, la lava raggiunge la superficie e si forma un'isola. In questo modo sono nate Linosa, Pantelleria e Ferdinandea e per tale motivo, questi fenomeni hanno un carattere di ciclicità. Un fenomeno potenzialmente rischioso dal punta di vista sismico per le nostre coste, come hanno mostrato i terremoti del 1831 e quello più recente del 1995, dunque da monitorare. Ecco il motivo dello operazioni ideate e coordinate dal sottoscritto, che ha portato sommozzatori e geologi, ad effettuare rilevamenti e prelievi di campioni di lava, studiati dal Dipartimento di Chimica e Mineralogia dell'Università di Palermo.
(nella foto, un sommozzatore preleva del basalto con un martello pneumatico).
Le missioni però hanno sortito un effetto non previsto, un'attenzione enorme da parte di stampa e televisioni, non solo italiane, che hanno amplificato a dismisura, la nostra ricerca, fino a preannunciare (notizia priva di fondamento), l'imminente riemersione dell'isola e la notizia, ha spinto il governo inglese, a rivendicarne la sovranità, in base a presunti diritti accampati nel 1831. L'anacronistica quanto inopportuna rivendicazione, riportata dal Times, ha creato
imbarazzo al Ministero degli Esteri della nostra Nazione, sulla cui piattaforma continentale, insiste il vulcano sottomarino; lo scrivente, ha dovuto stilare una dettagliata relazione al Ministro Dini, chiarendo che allo stato attuale, non ci sono segni di eruzione sottomarina e dunque di imminente riemersione, anche se con questo non si può escludere che prima o poi, il fenomeno possa tornare a manifestarsi.
(L'articolo del Times)
Come stanno dunque le cose dopo cento settant'anni? Di chi sarebbe l'Isola se dovesse riemergere? Si arriverebbe a pericolosi o quanto meno antipatici contenziosi tra nazioni, come nel 1831? La recente rivendicazione inglese, tra l'altro manifestata senza neppure il concretizzarsi dell'oggetto della contesa, ci induce ad affrontare con serenità la questione ed anche preventivamente, dato che, come affermano i geologi, l'isola potrebbe prima o poi riemergere: affrontare in anticipo la questione, eviterebbe future situazioni di imbarazzo se non di forza. Allo stato attuale, nessuna nazione può rivendicare una terra che non esiste, in quanto come abbiamo visto, ciò che resta dell'Isola, giace ad una profondità minima di -8m e massima di -190. La Convenzione Internazionale del 1982 di Montego Bay, stabilisce che comunque, il banco di Graham, distante circa 24 miglia dalle nostre coste, giace nella piattaforma continentale italiana (che arriva fino a 200 miglia dalla nostra linea costiera); l'articolo 149 della stessa convenzione, relativamente al patrimonio storico e archeologico, stabilisce che "per tutti gli oggetti di carattere storico o culturale trovati entro le 200 miglia di uno stato costiero, si deve tenere conto dell'origine storica e culturale dei reperti"; ma Ferdinandea, non è un oggetto storico. Inoltre, per quel che riguarda la competenza territoriale in materia, fiscale, sanitaria e di immigrazione, dichiarando la cosiddetta Zona Contigua Marittima, una nazione può estendere i propri poteri territoriali dalle attuali 12 miglia, fino a 24; l'Italia però non ha ancora provveduto a dichiarare tale Zona Contigua, probabilmente per il quieto vivere con Paesi dirimpettai come l'ex Jugoslavia. Dopo la recente rivendicazione britannica sulla Ferdinandea, anche gli esperti di Diritto italiani si sono posti la questione e sul numero di giugno di Rivista Marittima, il mensile pubblicato dalla nostra Marina Militare, il cap. Fabio Caffio, responsabile dell'Ufficio Affari Giuridici Internazionali dello Stato Maggiore della Marina, prendendo spunto dalle nostre missioni sul vulcano ed il tentativo di accamparne diritti da parte della Gran Bretagna, ha scritto un interessantissimo articolo intitolato "La disputa virtuale sull'isola Ferdinandea". Caffio, afferma in tono rassicurante, che oggi non si arriverebbe a risolvere il contenzioso con l'impiego della forza, in quanto si demanderebbe la soluzione della controversia, ad un Organismo internazionale, come la Corte Internazionale di Giustizia o la Corte Permanente di Arbitrato; c'è da dire di contro, che l'atteggiamento dal tono imperialistico mostrato in questa vicenda dagli inglesi, ci rassicura di meno e ci rimanda a memorie non tanto lontane, quando protagoniste di contenzioso, furono alcune sperdute isole, che si chiamavano Falkland ed il contenzioso non fu impugnato dalle Corti di Arbitrato, ma dalle navi da battaglia britanniche e dai caccia argentini. Nel 1831, l'esercizio di sovranità fu esercitato esclusivamente dai Borbone, che provvidero tra l'altro, ad effettuare sull'isola dei rilievi, compito affidato al Reale Ufficio Topografico, elaborati da Benedetto Marzolla (che nel dicembre del 1831, pubblicò la descrizione dell'Isola, corredata da pregevoli stampe); inoltre, in materia di sovranità di terre affiorate all'improvviso, la giurisprudenza arbitrale internazionale è concorde nel ritenere che il possesso di una terra debba essere aperta, esclusiva ed effettiva e non serve piantare semplicemente una bandiera: ecco perché gli inglesi non hanno nulla da rivendicare; vige poi il principio della contiguità, cioè l'interesse giuridicamente tutelato dallo Stato costiero più vicino all'Isola e dunque dall'Italia, in quanto come già detto, il vulcano insiste sulla nostra piattaforma continentale. Anche se effettivamente coloro che esercitarono tangibile sovranità sull'Isola furono i Borbone, se c'è un Paese che oggi può vantare un titolo, questi è l'Italia, quale Stato successore del Regno delle Due Sicilie. Ma per amore di obiettività, a questo punto si potrebbe affermare che in caso di riemersione dell'Isola, anche i Borbone potrebbero partecipare al contenzioso, poiché Ferdinandea si verrebbe a trovare ben oltre le acque territoriali italiane, dunque al di fuori dei suoi confini. Per fortuna questa è semplice speculazione: dobbiamo sperare che l'evento non si ripeta, in quanto un'eruzione sottomarina non è mai atraumatica e si potrebbe accompagnare a forti terremoti ed onde di maremoto; è quasi certo che un'antica eruzione con epicentro Ferdinandea, abbia determinato la distruzione della splendida città greca di Selinunte, distruzione finora attribuita ai 60 elefanti di Pirro, nel 270 a.C. Dunque un evento che a parte le implicazioni di sovranità, potrebbe comportare ben più gravi problemi. Ma la controversia, ha rappresentato anche lo spunto per un'iniziativa dal sapore provocatorio ma non politico, che ha condotto il sottoscritto ad invitare il successore al Regno delle Due Sicilie, S.A.R. il principe Carlo di Borbone, a recarsi con i nostri sommozzatori sui resti dell'Isola, per deporre nei suoi fondali una lapide, dove le lettere di bronzo, recitano che quella terra è appartenuta ed apparterrà sempre, sia culturalmente che storicamente, al popolo siciliano (nella foto, da sn: prof.Leonardo Saviano. prof.Raffaele Pallotta D'Acquapendente, dr. Domenico Macaluso e S.E. il conte Alessandro D'Aquino di Caramanico).
La deposizione della lapide
Un'iniziativa culturale,che non vuole assolutamente essere una rivendicazione territoriale: da questo presupposto, nasce l'idea per una singolare iniziativa, il modo più civile per rispondere all'assurda rivendicazione territoriale inglesi, su una terra che non esiste, proprio quando si sta concretizzando il sogno di una comune casa Europea. A presenziare alla cerimonia, Domenico Macaluso invita il Duca di Calabria, principe Carlo di Borbone delle Due Sicilie, che accetta con entusiasmo, ma a condizione di non strumentalizzare o politicizzare un'evento, che vuole rappresentare la consegna ideale dal discendente del legittimo proprietario, al popolo siciliano, di un'isola a cui è la Sicilia è legata da consolidate tradizioni.
La cerimonia in mare, è stata organizzata dall'avv. Gaspare Falautano, presidente della sezione di Sciacca della Lega Navale Italiana, mentre l'accoglienza, l'ospitalità ed un ricevimento di gala per i duchi di Calabria, sono stati curati dal sindaco di Sciacca, avv. Ignazio Cucchiara, a nome dell'Amministrazione della Città.
Il 10 novembre 200, davanti le telecamere di Rai-Uno, con Puccio Corona, quelle del primo canale della televisione di stato spagnola e molti giornalisti, i sommozzatori del Club Seccagrande e della Lega Navale di Sciacca, guidati da Domenico Macaluso, effettuano la deposizione in mare della lapide, per le condizioni metereologiche la definitiva posa della lapide, avviene il 21 marzo 2001, questa volta ripresa dalla troupe di Lenea Blu, con Donatella Bianchi).
La lapide, adagiata in un anfratto naturale delle pendici del vulcano, risultava molto suggestiva e spiccava per la sua maestosità (150 Kg.) e per gli stemmi realizzati dai ceramisti di Sciacca. Il testo in bronzo, recitava: QUESTO LEMBO DI TERRA, UNA VOLTA ISOLA FERDINANDEA, ERA E SARA' SEMPRE DEL POPOLO SICILIANO.
Alla cerimonia, ha voluto partecipare anche la consorte di carlo di Borbone, la duchessa Camilla Crociani. Per lei è la prima occasione di visitare la sicilia occidentale. E ne rimane entusiasta. Viene accolta da molti bambini che le rivogono domande, la baciano e non si staccano un attimo da lei; commovente, nella chiesa di S.Margherita, l'incontro con delle anziane donne di Sciacca, che l'accarezzano e le rivolgono spontanei complimenti, che lei accetta emozionata.
Un idillio, una cerimonia ripresa dalla stampa internazionale, che ha suscitato soltanto interesse ed entusiasmo.
Ma qualcuno non ha gradito.
Ferdinandea, dopo tanta pubblicità, è diventata una meta turistica, per diportisi che la raggiungono dopo averne chiesto le coordinate, ma soprattutto per sommozzatori, che desiderano visitare questi eccezionali fondali e farsi immortalare accanto alla lapide. Per alcuni ragazzi di Sciacca, accompgnare i turisti alla Ferdinandea, è diventato una fonte di lavoro, almeno nella stagione estiva; hanno a disposizione una bella barca, la Piga, dove dopo l'immersione, si può anche pranzare. E sono proprio due ragazzi della Piga, Calogero La Rocca ed Enzo Trafficante, che un giorno trovano un'amara sorpresa: la lapide, è stata distrutta, ridotta in dodici pezzi mediante una mazza, come fanno capire i colpi inferti al robusto marmo e soprattutto agli stemmi di ceramica. La notizia stupisce tutti e lascia sorpresi per un gesto il cui significato va oltre il teppismo. Inquietante la presenza notata dai pescatori di Sciacca, qualche giorno prima, di duna nave militare che pattugliava nella zona e la cui nazionalità, non è stata identificata. Il 6 settebre 2001, Felice Cavallaro scrive un pezzo sul Corrire della Sera, in cui riporta la notizia della distruzione della lapide; con tono un po' ironico, lancia anche il sospetto, che a romperla, siano stati i servizi segreti britannici. Una cosa è certa: chi si può permettere di raggiungere il centro del Canale di Sicilia, armato di martello, determinato a rompere una pesante lapide di marmo? E' la domanda che Rose George, rivolge per il giornale inglese the Independent a Domenico Macaluso, specificando se secondo lui, sono stati gli inglesi. "Non sono in grado di affermarlo; certamente -risponde Macaluso- è stato qualcuno che non ha condiviso la nostra iniziativa culturale". La lapide sarà riparata e riposizionata sui resti della Ferdinandea, entro la prossima estate.
L'articolo originale in inglese de l' Independent
The Island that Time Remembered
the Independent Digital
Once, it was a cause célèbre: a strategically important volcanic island in the Mediterranean that Britain, France, Spain and Sicily all claimed as their own. Then, in 1831, it sank beneath the sea. Now, inch by inch, Graham Island is rising to the surface again. And already the territorial squabbling has resumed by Rose George
26 September 2001
It began with the boiling of waters, 22 miles from the island of fire. It was July 1861, and off the coast of southern Sicily - the fiery island of volcanoes - in the Sicilian Channel between Europe and Africa, strange things were happening. There was a terrible smell of sulphur in the air, and jets of hot water and cinders were spat from the ocean. Dead fish floated on the surface. Commander Charles Henry Swinburne, standing on the British naval frigate HMS Rapid, watched as for only the second time since 10BC, one of Sicily's lesser-known volcanoes rose up from the sea, setting off an international dispute between Britain and Italy that is still, theoretically, unresolved.
The British returned in August 1831, claiming the now sizeable hillock as Graham Island, after the First Lord of the Admiralty, and gleeful at grabbing such a strategic lump of rock: closer to Europe than Malta, Graham Island was a perfect point to control commercial and military sea traffic in the major Mediterranean shipping lanes. The Sicilians - Italy wouldn't be unified until 1870 - indignantly sent a ship to claim the island for the Bourbon Kingdom of the Two Sicilies, whose captain removed the Union Jack and named the island Ferdinandea, after King Ferdinand II. The Spanish showed an interest too, while the French sent a geologist to name it Giulia, on the prosaic grounds that it had appeared in the month of July.
For five months, conflict raged in newspapers, as three nations fought over a 60m-high lump of basalt. Tourists travelled to the island to see its two small lakes and four-kilometre circumference; hardy visitors climbed to its summit through clouds of noxious gas. Sailors watched with suspicion, muttering of magic forces that must make the island pop up and down, while the nobles of the House of Bourbon reportedly planned to set up a top-class holiday resort on its beaches. But it was no use. Little by little, the island sank back beneath the waters, and by 17 December 1831, two Neapolitan officials reported no trace of it. The volcano had been drawn back down into the sea by the movement of the tectonic plates, the same way it had arisen, and the dispute was seemingly resolved - no territory, no territorial claim.
Until now. The seamount (a seabed volcano) of Graham/Ferdinandea has lived on in charts, its summit - only eight metres below the surface - a constant hazard for shipping. Occasionally it has made its presence known, alarming fishermen with its steaming. In 1987, an American pilot on the way to bomb Libya thought the rock a submarine, and dropped depth charges on it. In 1995, tremors along the Sicilian coast were blamed on Ferdinandea. Then last year, the squabble over a non-existent island spluttered once more into life.
Domenico Macaluso is a surgeon in Sciacca, the coastal town nearest to Ferdinandea, as he calls it ("You'll be wanting to call it Graham, I suppose," he says on the phone). A keen diver, and a volunteer Inspector of Sicilian Cultural Riches, he was horrified by the underwater foraging of the famed American diver Robert Ballard, who had been poking around in the Sicilian Channel and began to take an interest in Ferdinandea. Macaluso's interest intensified last year. "It was 5 February 2000," he states with obsessive precision, when a bout of volcanic activity prompted a newspaper article entitled "A long vanished piece of the British Empire is about to resurface". This caused "a certain embarrassment in certain quarters", says Macaluso, including in the Italian Ministry of Foreign Affairs. Anxiety pricked by rumours that two British navy ships had been sniffing around the area, possibly checking out the truth of the press story, the Italian government asked for a report on the situation from its voluntary cultural inspector.
There was no chance of Ferdinandea re-emerging any time soon, the report concluded, but that didn't mean it wouldn't, one day. After all, the British had never made a formal claim to Graham, beyond sticking a flag on it. Ferdinand II had gone further, declaring with an Act of Annexation that Ferdinandea belonged to the Kingdom of Two Sicilies. But under international maritime law, Ferdinandea/Graham lies just outside Italy's 12-mile territorial waters. In theory, anyone - from Libya opposite, to nostalgic imperialists in the British fleet, to the House of Bourbon - could claim it, and the waters between Africa and Europe are as strategic now as in 1831.
Macaluso decided to take action. "I'm not political," he stresses, but he is determined. He persuaded Ferdinand's descendant, Prince Carlos of Calabria, who'd never set foot in Sicily, to take part in a "cultural initiative", in the form of a 150kg marble plaque, inscribed with the coats of arms of the House of Bourbon, the Italian Navy and the town of Sciacca, and with the words: "This piece of land, once Ferdinandea, was and shall always belong to the Sicilian people." It was all done in the name of the long-dead Ferdinand of Bourbon, Duke of Castro, and placed 20m below the surface in March this year, an event commemorated by the Italian media. The publicity brought curious tourists back to this anonymous patch of sea where there was nothing to see.
It brought someone else, too, because when Macaluso dived down to the island four weeks ago, he found his beloved plaque in pieces. Twelve pieces, actually, apparently bearing the marks of severe blows. He cried foul. "It's vandalism!" Italian newspapers, remembering the G8 protests in Genoa, speculated about a "Black Bloc" of underwater anarchists. More sober observers pointed to fishing anchors, accidental damage, maybe an earthquake, but Macaluso is unconvinced. "It was a considerable undertaking, to dive down there. If it had been an anchor, it would have broken in two, not 12 pieces. It was deliberate." Could it have been the dastardly British? "I don't think they could be bothered to get in a sub and go and break a piece of marble. Maybe it was someone with a grudge against the Bourbons."
Filippo D'Arpa, a journalist with Il Giornale di Sicilia, pours cold water on any conspiracy theories. His novel on the events of 1831 - The Island That Went Away - published this month in Italy, is "a metaphor on the ridiculousness of power. This rock is worth nothing, it's no use as a territorial possession, and yet the English, the French and the Bourbons fought over it and nearly came to war". Even so, "even now there's a strong rivalry, because the ownership of the island has never been established. It's very peculiar that 160 years later, English and Italians are still fighting over this."
Not so, says the Foreign Office spokeswoman, who downplays any claim, but knew exactly where Graham Island was. She asks briskly whether a quote she gave Time magazine would be OK. "I think we said we weren't going to make waves about it, or something humorous. It's that kind of level."
But it pays to take small islands seriously, however insignificant they seem. Three miles off Southend-on-Sea, Roy and Joan Bates have defied Her Majesty's Government for 30 years to claim sovereignty for their principality of Sealand (actually a concrete gun fort).
Japan's 200-mile exclusive economic zone uses a boundary marked by humble crops of coral surrounded by concrete. And in the book Lost Islands the oceanographer Henry Stommel listed many more undiscovered islands - marked on charts, but missing - which could be claimed for offshore banking services, principalities or radio stations, if anyone could find them.
"It's a very thorny issue," says Martin Pratt of the University of Durham's International Boundaries Research Unit. "You can't have sovereignty without territory, and you usually need some kind of continuous possession. But theoretically, if it did emerge again, it's outside Italian territorial waters, and someone could possess it and claim it."
An Italian naval captain recently wrote an article about Ferdinandea entitled "A Virtual Dispute". But a dispute it still is. Enough for Macaluso to be invited to Brussels to discuss the situation at official level, and for the Belgian newspaper Le Soir to put the story in full-colour on its front page. Enough for physicist Antonio Zichichi, who keeps an eye on the volcano from the Ettore Majorano Centre at Erice, to say immediately, "We're not interested in any plaques!" Zichichi heads a project "to understand what's going on in that part of the sea", including correlations between Ferdinandea's activity and seismic shocks on Sicily's southern coast. "I intervened because people were saying such stupid things about Ferdinandea - that it was magic, that it was going to erupt. It goes up and down because the earth's crust goes up and down, and that's that." But a Nato report last year about a similar seamount off northern Sicily speculated that a new emergence could cause huge tidal waves. And even Zichichi, a strong believer in Galileo's dictum that our lives must be governed by facts, admits that for now, Ferdinandea hasn't supplied many. "People should have started monitoring 20 years ago, not five," he says. "It's a very difficult task - in the advanced frontiers of geophysics, it's impossible to predict seismic events."
And as long as the possibility that the non-existent island will exist again cannot be ruled out, the virtual dispute can rumble on. So Macaluso is determined to replace the plaque. The tourists will continue to circle over a volcano eight metres underwater. In government offices, files will build up on the what-ifs. And meanwhile, the volcano called Ferdinandea or Graham bubbles away, causing eruptions and waves in the realm of hypothesis, while its mineral sands sprout with lush underwater plants. The aristocratic beach resort is now a haven for fish and 40 varieties of microsnails. Coral has begun to form. "It's an underwater paradise," says Macaluso. "I'd prefer it to stay down there. It's better that way, for everybody."